Il covid19 continua a perseguitarci. Siamo stanchi e questo ci porta ad allentare i freni che ci vengono imposti e a diventare superficiali nei confronti delle difese da mettere in atto. Lo vediamo continuamente un po’ in tutte le città, complici le belle giornate piene di sole. Purtroppo però il numero dei morti continua a crescere e mette in serio pericolo la possibilità di vivere in tranquillità la prossima Pasqua. Ma, nonostante tutto, la superficialità nei comportamenti non tende a diminuire.
Molti di voi avranno letto lo splendido romanzo di Albert Camus intitolato La peste, un celebre romanzo centrato sulla figura del dottor Rieux, un medico che combatte senza tregua contro la peste che ha colpito una piccola città dell’Africa del nord sulla costa del Mediterraneo. I morti non si contano, ma lui continua il suo lavoro se non altro per rendere più umana la morte e pretendendo comportamenti disciplinati da tutti coloro che convivono con la peste. Il romanzo fu pubblicato nel 1947, ma qualche anno prima, nel 1941 in piena guerra mondiale e in piena pandemia di totalitarismi, Camus aveva scritto una Esortazione ai medici della peste impegnati nella lotta contro la malattia. Ne riporto alcuni brani perché, seppure indirizzate ai medici, quelle esortazioni ci riguardano tutti.
Dopo aver dato ai medici qualche buon suggerimento su come comportarsi con il malato di peste, Camus scrive: “Voi, medici della peste, dovete fortificarvi contro l’idea della morte e conciliarvi con essa, prima di entrare nel regno preparatole dalla peste. Se trionferete qui, trionferete ovunque e vi vedranno tutti sorridere in mezzo al terrore”. E poi ancora un suggerimento dato ai medici, ma che ci riguarda da vicino: “Infine dovete diventare padroni di voi stessi. E, per esempio, saper fare rispettare la legge che avrete scelto, come quella del blocco e della quarantena. Uno storiografo provenzale narra che un tempo, quando uno di coloro che erano sottoposti alla quarantena scappava, gli veniva fracassata la testa. Non è questo che auspicate. Ma non dimenticate con ciò l’interesse generale. Non venite meno a tali regole per tutto il tempo in cui saranno utili, quand’anche il cuore vi inducesse a ciò”. E ancora: “Forti di tali rimedi e di tali virtù, non dovrete poi fare altro che respingere la stanchezza e conservare viva l’immaginazione: non dovete mai e poi mai abituarvi a vedere gli uomini morire come mosche, come accade oggi nelle nostre strade”.
Da non dimenticare che la peste, in Camus, è metafora di quella peste che intacca le coscienze degli uomini e che li rende malati di totalitarismi di destra e di sinistra come avveniva in quegli anni. Di fronte a questo tipo di malattia che di tanto in tanto emerge siamo tutti chiamati a diventare medici non tanto del corpo quanto dello spirito.
don Fausto Bonini